di Luciano Manna (english version) – I rifiuti dell’Ilva di Taranto sono sempre stati un grande affare. Chi gestisce lo stabilimento si trova ciclicamente davanti a una decisione empirica: smaltire i rifiuti affrontando un notevole costo considerate le quantità e la specificità del rifiuto o classificarlo come risorsa per venderlo, e quindi farsi pagare per “smaltirlo”. Le soluzioni vengono adottate entrambe ma chi o cosa decide se, ad esempio, i fanghi di un altoforno sono un rifiuto da smaltire o da riutilizzare in un altro ciclo produttivo? Una semplice analisi chimica che decide se polveri o fanghi vengono classificati come rifiuti pericolosi da smaltire o non pericolosi destinati ad un trattamento per poi essere riutilizzati in un determinato nuovo ciclo produttivo. Questo è il bivio, e la decisione da prendere è condizionata da una analisi chimiche volte da uomini in laboratorio. E qui inizia la nostra storia.
Lo smaltimento dei rifiuti come i fanghi acciaieria, fanghi e polverino di altoforno è regolato dalla prescrizione UP3 del DPCM del 14/03/2014, uno di quei decreti, per comprenderne il suo effetto letale sulle persone, che ha contribuito alla condatta dello Stato italiano da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ma di questo ne parleremo più avanti. I primi due viaggi di fanghi e polverino come rifiuti degli impianti Ilva sotto gestione ArcelorMittal si effettuano a gennaio e a maggio 2020 verso Cipro per mezzo di un trasporto transfrontaliero IT020525 autorizzato dalla Provincia di Taranto per un totale di 15.000 tonnellate di materiale.
Con Determina Dirigenziale n. 578 del 11/07/2019 (documento) la Provincia di Taranto ha autorizzato, ai sensi dell’articolo 9 del Regolamento CE 1013/2006, la spedizione transfrontaliera di rifiuti di cui alla notifica generale IT 020525, per il trasporto e l’avvio al recupero con operazione R5 presso gli impianti dell’azienda cipriota Vassiliko Cement Works Public Company ltd. Verso questa società sarà inviato un quantitativo complessivo di 50.000 tonnellate con 15 navi pari a 1852 movimenti di mezzi gommati. Il produttore e il detentore del rifiuto è la società ArcelorMittal Italia spa. La società ECO CIS s.r.l. di Livorno ha svolto il ruolo di intermediazione tra la Provincia di Taranto e l’Autorità competente di destinazione cipriota, cioè il “Department of Environment of Ciprus – Nicosia” mentre per le movimentazioni nel territorio italiano, dagli impianti ex Ilva al Porto di Taranto, saranno impiegati i mezzi della Ecologica spa di Statte. Questo è il fatto attuale, quello che accade oggi mentre negli anni scorsi la gestione di questo cumulo di rifiuti non è stata molto semplice.
Qualche anno fa, a partire da maggio del 2015, si provò a smaltire questo cumulo di fanghi e polverino stoccato nell’area Mater Gratiae a nord dello stabilimento, che a quel tempo si stimava intorno alle 500.000 tonnellate, con rotte navali verso il porto di Catania con la nave Eurocargo Livorno (documento) dove con mezzi gommati si conferiva il rifiuto presso la discarica Cisma Ambiente di Melilli (documento). La storia, che per la precisione prima della rotta catanese fu battezzata con il viaggio della nave Rita BR (documento) da Taranto verso Augusta per il solo polverino di altoforno, finì male. La discarica era già sotto indagine della Procura di Catania dal 2012 e i Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico e il Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza sequestro il sito a marzo del 2017 per traffico illecito di rifiuti, estorsione e rapina, con l’aggravante del metodo mafioso. I gestori della discarica erano ritenuti prestanome della famiglia mafiosa Santapaola e il capo della Procura di Catania, Carmelo Zuccaro, lo definì un “sistema perverso di connivenza e affari tra imprese controllate da Cosa nostra e funzionari infedeli della pubblica amministrazione“. In questa discarica arrivavano i rifiuti dalle raffinerie di Gela, Milazzo, Priolo, dagli stabilimenti delle centrali Enel in Sicila e dall’Ilva di Taranto. I rifiuti venivano miscelati nel vano tentativo di trasformarli da rifiuti pericolosi a non pericolosi cambiando alla fine del processo illecito il codice CER.
Ma come fece l’Amministrazione straordinaria dell’Ilva di Taranto, sotto la scrupolosa vigilanza del ministro del MATTM Galletti, a chiudere un contratto per lo smaltimento dei rifiuti dello stabilimento Ilva con una piramide di uomini mafiosi finiti nella rete della Procura siciliana? Una domanda che negli anni è rimasta inevasa. Ma giuriamo di aver sentito Galletti sostenere che quel trasporto di rifiuti era tutto a norma.
Perché ancora oggi questo traffico di rifiuti industriali rappresenta il fallimento della politica italiana nel complessa questione e gestione degli impianti dell’Ilva di Taranto? Semplice. Gli impianti ex Ilva che ArcelorMittal gestisce già da due anni, da novembre 2018, hanno saturato la capienza delle discariche per rifiuti pericolosi e nn pericolosi e le stesse che ha utilizzato sino ad oggi sono a norma solo “a mezzo decreto”, grazie ai decreti Salva Ilva naturalmente. Già, proprio quei decreti condannati dalla CEDU. Le regole, cioè le prescrizioni, imposte dall’Autorizzazione Integrata Ambientale del 2012 dovevano essere attuate entro il 2015 e siccome non furono del tutto attuate a causa di ritardi ed inadempienze furono modificate le tempistiche delle prescrizioni dalle “regole” del Piano Ambientale DPCM del 14/03/2014; e siccome anche queste, tra i noti ritardi e ulteriori inadempienze, non sono state rispettate è sceso in campo il DPCM del 2017 che ha introdotto l’effetto della nuova AIA concessa ad ArcelorMittal che a sua volta rimanda il tutto sino al agosto del 2023. Roba che satana avrebbe da impararne per aggiornare ai giorni d’oggi i suoi metodi malefici. Ciò che per legge, prescrizioni dell’atto amministrativo AIA blindato nel decreto tramutato in Legge dal primo decreto Salva Ilva di dicembre 2012, circa gli impianti dell’ex Ilva sottratta ai Riva doveva essere attuato e concluso nel 2015 è stato rimandato al 2023 sempre con lo stesso gioco, grazie alle nuove prescrizioni AIA del 2017 concessa ai gestori affittuari ArcelorMittal e blindate nel DPCM 2017. Quale migliore cassaforte per un debole atto amministrativo minato dall’azione della Procura di Taranto è, appunto, un decreto trasformato in legge? Di fatto proprio il primo decreto Salva Ilva del 2012 fu impugnato dalla Procura di Taranto che nel luglio dello stesso anno aveva sequestrato gli impianti dell’area a caldo dello stabilimento Ilva. La Procura sequestra e il Governo assicura la marcia degli impianti con un atto amministrativo blindato in un decreto che poi diventa legge. Sappiamo come è finita. La Corte Costituzionale nell’aprile del 2013 dichiarò costituzionale quel decreto a patto che si fosse attuata l’AIA. sappiamo come è andata e lo abbiamo già detto. Prescrizioni AIA del 2012 da concludere nel 2015, mai attuate completamente ed oggi rimandate al 2023.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo il 24 gennaio 2019 ha riconosciuto le responsabilità dello Stato italiano nell’aver perpetrato azioni colpevoli di aver generato un contesto, vissuto dai tarantini, di seria criticità ambientale e sanitaria causata dal siderurgico ex Ilva, oggi è in gestione ad ArceloMittal dal novembre del 2018. Sono stati violati gli articoli 8 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che riguardano rispettivamente il “Diritto al rispetto della vita privata e familiare” e il “Diritto a un ricorso effettivo”. Gli Stati hanno l’obbligo “attivo” – sostiene la Corte – nel caso di attività pericolose di mettere in campo una regolamentazione adatta alla specificità dell’attività, in particolare con riferimento al livello di rischio risultante; tale regolamentazione deve disciplinare l’autorizzazione, la messa in funzione, lo sfruttamento, la sicurezza e il controllo dell’attività in questione, così come imporre a tutti i soggetti interessati l’adozione di misure di ordine pratico per garantire la protezione efficace dei cittadini che possono essere esposti ai pericoli generati dall’attività in questione.
La Corte ha evidenziato che il governo italiano è intervenuto in più occasioni attraverso misure normative urgenti (ed. Decreti Legge “Salva-ILVA” poi convertiti con modificazioni in Legge) al fine di consentire la prosecuzione dell’attività dell’acciaieria, ad onta della constatazione – da parte delle autorità giudiziarie competenti – fondata su evidenze chimiche ed epidemiologiche, dell’esistenza di gravi rischi per la salute e perl’ambiente, assicurando inoltre l’immunità amministrativa e penale ai soggetti responsabili di garantire la conformità ai requisiti ambientali.
La Corte non può che constatare il prolungarsi di una situazione di inquinamento ambientale che mette in pericolo la salute della popolazione residente nell’area di ricaduta e che le autorità nazionali non hanno adottato tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto delle persone interessate al rispetto della loro vita privata. Lo Stato ha l’obbligo di individuare le misure generali da adottare nel proprio ordinamento giuridico interno per porre fine alla violazione ed eliminarne nel modo più efficace le conseguenze.
Per completezza va ricordato che i rifiuti Ilva, e dell’ex Ilva ArcelorMittal, hanno raggiunto e continuano a raggiungere ogni parte d’Italia. Ricordiamo i fanghi prodotti dal trattamento biologico delle acque di impianti delle cokerie (codice CER 190812) arrivati a Ostuni (BR) (documenti) e a Crotone (documenti); a Nocera Inferiore (SA) i pneumatici che erano stoccati in una area sequestrata nell’Ilva (documenti); le acque oleose prodotte dalla separazione olio/acqua, reflui dei canali di scarico dello stabilimento (codice CER 130507) arrivate a Modugno (BA) (documenti); a Lugo (RA), trasportate con i treni, sono arrivate le traversine ferroviarie dismesse che erano accantonate in un’area sequestrata (documenti) e come già detto i fanghi e polverino di acciaieria e altoforno a Melilli (SR) (tutti i documenti Cisma Melilli). Oggi, invece, nell’ambito della gestione delle polveri nell’area agglomerato dei filtri ESP e MEEP troviamo una ditta di Trepuzzi (documenti) ed un’altra di Genova (documenti). Ma questa è un’altra storia.
Ed invece come finisce questa sporca storia? Che lo smaltimento di questi rifiuti provenienti da acciaieria e altiforni dell’ex Ilva per prescrizione del DPCM 2014 doveva concludersi a dicembre 2020 ed invece i signori Commissari Straordinari di ILVA S.p.A. in A.S. hanno richiesto l’attivazione della Conferenza dei Servizi per il differimento termine prescrizione al 23 agosto 2023 perché questo smaltimento è soggetto ad autorizzazione della Provincia di Taranto. Un rimpallo istituzionale perfetto per continuare a violare la Legge. La morale della favola è: i rifiuti che prima si smaltivano in una discarica siciliana gestita da individui prestanome dei mafiosi Santapaola oggi vengono portati a Cipro per farci il cemento ed è naturalmente sempre tutto a norma.