di Luciano Manna – Non si impiega molto per smontare la propaganda politica del governo Meloni sul Made in Italy. Non si fa neanche molta fatica, basta partire da ciò che serve ad una acciaieria: i refrattari. Ecco, iniziamo col dire che lo stabilimento ex Ilva di Taranto Acciaieria d’Italia, non d’India ma d’Italia l’hanno chiamata, compra ed usa i mattoni che arrivano dall’india. Precisamente quelli dallo stabilimento TRL Krosaki Refractories Limited del gruppo Tata a Belpahar in India, che sul suo sito web tra i suoi clienti sfoggia anche il logo ArcelorMittal. Come abbiamo fatto a saperlo? Luglio 2023, un autobus per il trasporto degli operai all’interno dello stabilimento va in manutenzione ed al termine dell’intervento viene parcheggiato in una area adibit al allo stoccaggio del materiale refrattario. Qualcosa non va per il verso giusto e l’autobus prende fuoco coinvolgendo l’intero parco refrattario dove sono stoccati i mattoni. Un disastro ed un danno economico incalcolabile. Che mattoni sono? Quelli indiani che arrivano da Belpahar.

Un Made in Italy, quindi, non solo patacca ma anche calpestato se si considera che sino all’entrata ufficiale di ArcelorMittal a novembre 2018 i refrattari di stabilimento avevano un’unica provenienza, la Sanac che faceva parte del Gruppo Riva, una società italiana con diverse sedi in italia: Grogastu, Gattinara, Vado Ligure e sino al 2007 anche la sede di Taranto poi posta sotto sequestro dalla Guardia di Finanza per traffico illecito di rifiuti, quindi chiusa e mai più riaperta. Arrivano i franco indiani, che promettono l’acquisizione della società ma che di fatto ancora ad oggi rimane di proprietà di Ilva spa in Amministrazione straordinaria, prendono i primi ordini di refrattari dalla Sanac a cui non pagano le fatture ed iniziano a comprare mattoni refrattari da altre aziende, tra cui, appunto, la TRL Krosaki Refractories Limited del gruppo Tata a Belpahar in India. Che bel paese l’Italia e il suo Made in Italy patacca. Nel frattempo per la Sanac si apre una interminabile vertenza costretta a mettere i lavoratori in cassa integrazione e ai Commissari di Governo non resta che accertare il disastro tutto italiano nelle loro relazioni trimestrali: ad esempio il 2022 registra un calo di fatturato del 40% rispetto all’anno precedente, un dato peggiore dell’anno 2020 caratterizzato dal covid.

E quindi il Made in Italy?

Propaganda. Pura propaganda che altera il dibattito pubblico manipolando l’informazione con l’aiuto, consapevole ed inconsapevole, dell’informazione mainstream. Non si può definire diversamente la spasmodica ricerca da parte del Governo di un Made in Italy che non c’è perché semplicemente ciò che si produce è totalmente in mano ad una multinazionale ed in mano a questa ce lo ha messo lo stesso Governo. Pura propaganda che si manifesta quando da una parte le più alte cariche del Governo chiedono a Stellantis di produrre di più e con più mano d’opera italiana e le stesse cariche, premier Meloni in testa, assistono impassibili allo scempio della vicenda ex Ilva Acciaierie d’Italia: una storia, tra l’altro, dove il privato ArcelorMittal insieme allo Stato con Invitalia operano nel reiterare reati ambientali con la gestione degli impianti dello stabilimento di Taranto, gli stessi reati che sono stati contestati alla famiglia Riva nel processo Ambiente svenduto e che ha portato 47 imputati ad una condanna in primo grado che somma ben 300 anni di carcere. No, non è un maxi processo contro la mafia, è il più grande disastro ambientale della storia della nostra Repubblica.

In tutto questo, dove da una parte il danno sanitario è oramai acclarato da ogni studio scientifico ed epidemiologico e dall’altra si riduce la forza lavoro a colpi di cassa integrazione da svariati anni, si invoca un Made in Italy che nello stabilimento ex Ilva non esiste ed è stato smontato totalmente per mano del Governo che oggi invoca questo Made in Italy tanto che per puro spirito nostalgico con questa etichetta ha marchiato anche un ministero, proprio quello che è stato protagonista del fallimento della governance nell’annosa questione Ilva, il Ministero dello Sviluppo Economico. Un ministero che ha visto passare nei suoi corridoi due ministri che si sono dimostrati incapaci e deleteri per il nostro paese: Calenda e Di Maio.

Il primo, Calenda, autore della firma del decreto di aggiudicazione ad Am Investco Italy il cui capitale sociale risultava detenuto da ArcelorMittal Italy Holding S.r.l. (51%), ArcelorMittal S.A. e sino ai suoi ultimi giorni da ministro grande tifoso della chiusura dell’accordo sindacale col privato con annesse pressioni sul suo fedele amico Bentivogli, ma poi alla fine non ebbe piacere di vedere quell’accordo firmato da ministro, ed il secondo, Di Maio, su cui è meglio non dir nulla perché è plausibile che ad oggi stia ancora leggendo quelle famose 23.000 pagine che lo portarono poi ad annunciare “il miglior accordo possibile nelle peggiori condizioni”. Infatti ci siamo accorti, poi, del risultato degli studi di Di Maio da ministro.

Il Made in Italy non c’è, è ed era pura propaganda perché già nella gara di aggiudicazione degli impianti, che ad oggi va bene ricordarlo sono in affitto e non venduti, la proprietà è sempre di Ilva spa in Amministrazione straordinaria, lo Stato fu capace di perdere contro se stesso: da una parte i franco indiani col quartier generale di Mittal a Londra insieme a Marcegaglia, dall’altra gli indiani di Jindal alleato con Cassa Depositi e Prestiti ed Arvedi. Chi vince? Chi porta il capitale nelle società anonime all’estero e nel corso degli ultimi 5 anni ha dimostrato di aver tenuto semplicemente bloccato un hub dell’acciaio, senza manutenzioni ed aumentando sempre di più il numero degli operai in cassa integrazione, con l’unica intenzione di non farlo gestire al suo competitor di mercato.

Dopo 5 anni di gestione ArcelorMittal il Governo invita Invitalia a utilizzare le vie legali nei confronti del privato che a sua volta chiedeva il rilancio del capitale allo Stato. Risultato? Decreto per tornare all’amministrazione straordinaria, il privato ricorre al Tribunale amministrativo, perde e come nel gioco dell’oca torniamo al 2015.Tenuto anche conto che Lucia Morselli ha speso soldi (pubblici?) per i suoi legali per opporti al TAR a qualsiasi documento le passasse sotto il naso: agli accessi agli atti di Manna che si fa avere dalla Provincia di Taranto le determine per portare rifiuti nei cementifici esteri ed addirittura anche alle note aggiuntive dei ministeri dell’Ambiente e della Salute ai fini del rilascio del riesame AIA scaduta ad agosto 2023. “Devono pur lavorare gli avvocati” mi rispose Lucia quando le chiesi perché mi aveva querelato per diffamazione.

Ed ancora, sulla propaganda targata Made in Italy. Come sono organizzate le società dei franco indiani per controllare i proventi dello stabilimento ex Ilva di Taranto? A scatole cinesi, l’ho spiegato bene in questo mio articolo già qualche anno fa. Si parte dall’Italia, si passa dalla Francia e si arriva in Inghilterra, a casa londinese Mittal. E allora di quale Made in Italy stiamo parlando? Del nulla.

Tutto questo per far produrre a una multinazionale poche tonnellate di acciaio di patria calpestando i diritti dei lavoratori e il diritto alla vita dei cittadini di una città martoriata. Questa è la nostra propaganda Made in Italy.