di Luciano Manna – E’ noto che l’affaire ex Ilva da almeno un paio di decenni continua a far parlare di sé in ambito politico, sociale e giudiziario. Se ne parla ovunque tranne che nei luoghi in cui se ne dovrebbe parlare: i ministeri o altre sedi istituzionali dove qualcuno, oltre alla masima tutela della salute prima e del lavoro dopo, dovrebbe tracciare la strategia industriale di un paese che alla fine del 2021 deve fare i conti migliaia di operai, impiegati e lavoratori di ogni settore che reclamano la certezza di un posto di lavoro. Le strade si infuocano con le proteste dei lavoratori Alitalia, Whirlpool, Gkn, ex Ilva. E’ evidente l’incapacità di avere un peso decisionale che appare leggero tanto quanto è leggera e surreale la fiera sicurezza di chi partecipa alle assemblee di Confindustria, specialmente quando in queste adunate di camicie bianche e cravatte blu si parla di acciaio, dell’acciaio italiano, dell’orgoglio nazionale, quello che rimane un sogno nostalgico del ‘900 che si scioglie a basse temperature di fronte al controllo bulimico delle multinazionali che amministrano società con parametri da terzo mondo, come ad esempio il costo del lavoro al ribasso, la cassa integrazione come strumento di risparmio ai danni delle casse statali gestite da chi ammicca a pratiche sadomaso, comportameti anti sindacali più volte condannati dai tribunali del Lavoro, mansioni carenti di sicurezza inquadrate in contratti multiservizi utilizzati da aziende dell’indotto senza scrupoli né coscienza che adoperano la manodopera a livello schiavi del terzo millennio.

Ma uno come Bonomi, ad esempio, che organizza gli incontri di confindustria meglio di Jep Gambarlella nelle sue sobrie feste mondane, sembra avere la faccia di uno che sa bene come comportarsi di fronte a questo tragico scenario produttivo ed occupazionale. Basta una piccola mappa che fotografa l’epilogo della più disastrosa gestione politica di una fabbrica che si chiamava Ilva, poi passata nelle mani della multinazionale ArcelorMittal ed oggi denominata Acciaierie d’Italia, per meglio comprendere le psicologie dei soggetti che oggi si cimentano ad argomentare su industria e acciaio, giusto così, per dare loro il giusto peso e collocazione influente nella galassia commerciale globale. Acciaierie d’Italia? Acciaio italiano? Parliamone, perché a quanto pare tra il susseguirsi di società a scatole cinesi e quelle anonime registrate all’estero qui di italiano c’è ben poco e quel poco necessita dello sfruttamento degli operai per il profitto all’estero ai danni delle casse dello Stato e soprattutto della salute di una intera popolazione, quella dell’intera provincia di Taranto dove insiste una fabbrica che ha potuto violare tutto quello che si poteva violare: dalla legislazione nazionale, a quella europea, sino anche a far ricevere, per la sua attività produttiva, una condanna alla Stato italiano per violazione dei diritti da parte della Corte di Strasburgo CEDU.

Il giorno di tutti i Santi del 2018 iniziava le sue attività la società ArcelorMittal Italia spa che si era costituita il 18 maggio dello stesso anno, con presidente del consiglio di amministrazione, nonché rappresentante dell’impresa, Lucia Morselli. La società ha un capitale sociale versato di euro 401.400.000,00 di proprietà della società AM Investco Italy spa che a sua volta si era costituita il 17 maggio 2016, anno in cui i futuri acquirenti della fabbrica in amministrazione straordinaria sottratta alla gestione Riva avevano già messo in conto le intenzioni del Governo che aveva già legiferato e intendeva continuare sulla stessa linea in futuro. Infatti nel 2015, con il Decreto Legge n. 1 del 5 gennaio 2015, convertito con modificazioni con Legge n. 20 del 4 marzo 2015, si assicurava l’immunità penale per i Commissari di Governo alla gestione della fabbrica, mentre il mese successivo alla costituzione di AM Investco Italy spa si assicurava l’immunità penale ai futuri acquirenti con il Decreto Legge n. 98 del 9 giugno 2016.

Oggi, mentre ArcelorMittal Italia spa è diventata Acciaierie d’Italia spa, AM Investco Italy spa è diventata Acciaierie d’Italia Holding spa e tra i suoi 5 consiglieri troviamo Lucia Morselli, anche qui rappresentante dell’impresa, e Franco Bernabè. Acciaierie d’Italia Holding spa ha un capitale sociale di euro 1.050.000.000,00 di cui euro 650.000.000,00 controllati da ArcelorMittal Italy Holding srl e euro 400.000.000,00 versati da Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa. Ora, dando per scontata la nostra conoscenza sul soggetto Invitalia l’interesse si dirige sulla società che gestisce Acciaierie d’Italia Holding spa insieme a Invitalia, cioè ArcelorMittal Italy Holding srl. Prima di andare avanti, però, c’è da aggiungere che Acciaierie d’Italia Holding spa controlla il 100% del capitale della società ArcelorMittal Italy Services srl che ammonta a euro 10.000,00. La società, che come oggetto ha la distribuzione dei prodotti siderurgici di società industriali, è attiva da maggio 2018 ed attualmente risulta in liquidazione dall’8 febbraio 2021. La liquidatrice, nonché rappresentante dell’impresa, è Lucia Morselli mentre nel 2018 tra gli amministratori compariva anche Matthieu Jehl, ex amministratore delegato di ArcelorMittal Italia.

ArcelorMittal Italy Holding srl rileva una società italiana costituita nel 1993 che chiude le sue attività nella sede di Milano nel 2005 per riprenderle nella sede legale di Piombino tra il 2005 e il 2019 e per poi tornare con sede legale a Milano il 3 luglio 2019 con una variazione dell’attività prevalente dell’impresa. La società ha un capitale sociale di euro 161.000.000,00 di cui euro 100.000.000,00 di Arcelor SA (di seguito SA: Società Anonima) ed euro 61.216.096,00 della società AM Global Holding Bis. Il suo presidente del consiglio di amministrazione e rappresentante dell’impresa è Egbert Jansen e tra gli amministratori troviamo l’italiano Daniele Santoro che è responsabile degli affari legali del gruppo ArcelorMittal dal 2004 e ha seguito l’operazione di acquisizione della società Ilva da parte del Gruppo ArcelorMittal dal 2014, sino al Closing avvenuto nel Novembre 2018 così come da fonte articoli del Corriere della Sera del 17 giugno 2016 e del Sole 24 Ore del 12 novembre 2018. Ed ancora, la stessa ArcelorMittal Italy Holding srl detiene il 100% del capitale sociale della società ArcelorMittal Commercial Italy srl che ammonta a euro 50.000,00 e come oggetto sociale ha la commercializzazione all’ingrosso di tutti i prodotti siderurgici; con euro 234.180,00 controlla il capitale sociale della società ArcelorMittal Logistics Italia srl mentre i restanti euro 225.000,00 sono di proprietà della società ArcelorMittal France SA; detiene il 100% del capitale sociale della società ArcelorMittal Italy Refractories srl che ammonta a 10.000 euro con dichiarata attività di estrazione e produzione di materie prime e materiali refrattari, ceramici e di altra natura da impiegare nei processi produttidi dell’industria siderurgica. La sociètà costituita nel febbraio del 2019 risulta ad oggi inattiva. Ma l’attività di questa società non è gemella della nota Sanac del vecchio gruppo Riva che attendeva di essere assorbita dal gruppo ArcelorMittal? La Sanac oggi in amministrazione straordinaria gestita dai commissari di Governo, produce il 60% dei refrattari di Acciaierie d’Italia ma già da diversi mesi non riceve più ordini. La Sanac doveva essere acquisita più di due anni fa, prima da ArcelorMittal Italia, oggi dalla società nata dal sodalizio Invitalia-Acciaierie d’Italia. A rischio il futuro di 335 operai visto che il termine ultimo per l’acquisizione era proprio settembre 2021.

Arcelor SA dal 2006 fa parte di ArcelorMittal SA a seguito della fusione con Mittal Steel Company. ArcelorMittal SA, società registrata nel 2001 in Lussemburgo quando si chiamava Newco Steel SA, è il più grande produttore al mondo nel campo della siderurgia con una attività svolta in più di 60 paesi nel mondo con circa 200.000 dipendenti, quotato nelle Borse di Amsterdam, Bruxelles, Parigi, New York, Madrid e Lussemburgo. E Milano? I membri dell’esecutivo societario sono 11 e tra questi troviamo i membri della famiglia Mittal: Bhatia Vanisha, Aditya e il capostipite 71enne Lakshmi Niwas. Nel 2018 il gruppo ha fatturato circa 79 miliardi di euro mentre nel 2020 chiude il total asset chiude a 67 miliardi di euro.

AM Global Holding Bis, uno dei pianeti societari della galassia ArcelorMittal, ha come attività commerciale la partecipazione a società nazionali ed estere, tra i suoi tre amministratori ritroviamo Egbert Jansen, la società AM Global Holding Sàrl è azionista unico al 100% mentre le partecipate alla società sono la ArcelorMittal Sourcing SCA e la ArcelorMittal Flat Carbon Europe SA. Anche la società AM Global Holding Sàrl ha come fine l’attività di partecipazione a società nazionali ed estere ed anche qui troviamo tra gli amministratori Egbert Jansen. La AM Global Holding Sàrl controllata al 100% dalla società di famiglia Mittal ArcelorMittal SA conta tra le partecipate della società AM Global Holding Bis Sàrl, AM New Holding Sàrl, ArcelorMittal Energy SCA, ArcelorMittal Sourcing SCA, ArcelorMittal XCarb Sàrl, Seven Seas Transportation Sàrl e Universal Shipping Sàrl.

Proseguendo la scala gerachica societaria, tralasciando l’analisi delle numerose società controllate dal colosso ArcelorMittal, proseguiamo l’analisi verso le società che dalla famiglia Mittal si dirigono o hanno avuto interessi verso gli impianti della fabbrica italiana ex Ilva. La ArcelorMittal Sourcing SCA, ad esempio, ci mostra un altro sentiero tortuoso che si dirige verso gli impianti di Taranto. Contando 15 persone nell’esecutivo societario, tra cui il terno familiare vincente composto da Bhatia Vanisha, Aditya e Lakshmi Niwas Mittal ha tra gli azionisti 8 società, tra cui le note ArcelorMittal SA, AM Global Holding Sàrl, AM Global Holding Bis Sàrl e tra le partecipate la Alliance Green Services SA. Cosa vi ricorda il nome di quest’ultima società?

La Alliance Green Services SA dichiara come attività il trattamento di scorie, rottami e altri sottoprodotti della produzione dei metalli, compreso il riciclaggio e la pulizia di altri servizi, principalmente per le aziende del settore della produzione dei metalli riciclaggio di rifiuti industriali. E chi detiene il 100% del capitale della società Alliance Green Services Italia S.r.l a noi nota proprio per l’attività nello stabilimento di Taranto? Proprio la società anonima Alliance Green Services con sede in Lussemburgo. La Alliance Green Services Italia S.r.l è stata costituita a giugno 2019 ed ha iniziato le sue attività il mese successivo per poi terminarle registrando il proprio scioglimento presso il registro delle imprese di Taranto a maggio del 2021. A Marzo 2021 la società Alliance Green Services Italia S.r.l, che nello stabilimento di Taranto si occupa di pulizie industriali, ha comunicato la cessazione delle attività al 31 marzo buttando nello sconcerto 200 operai transitati in questa società dopo una procedura di cambio di appalto che aveva visto anche la perdita di molti posti di lavoro. E cosa è successo in questi due anni di attività?

“ArcelorMittal fa mattanza dell’indotto locale” titolava la nota stampa dell’USB Taranto a firma del coordinatore provinciale Francesco rizzo. La sua nota proseguiva sostenendo che “ArcelorMittal azzera l’indotto locale per favorire una società di servizi da loro stessa controllata, la Alliance Green Services. Contro gli accordi stipulati e contro tutti i proclami, che qualche mese fa hanno narcotizzato le istituzioni locali, ArcelorMittal persegue il suo progetto di azzeramento delle aziende dell’indotto nonostante il sindacato USB abbia lavorato sino ad oggi per migliorare le condizioni dei lavoratori delle aziende del territorio. Con diversi soggetti interessati avevamo messo in campo ragionamenti volti a sostituire il contratto multiservizi, adottato dalle aziende in appalto per inquadrare i lavoratori, con il contratto metalmeccanico. Gli impegni discussi avrebbero favorito l’inserimento del contratto metalmenccanico contestualmente al rinnovo del contratto di appalto. Nelle ultime settimane circa 700 famiglie, i cui introiti dipendono dai rapporti di lavoro con le aziende dell’indotto, sono state interessate da procedure di licenziamento collettivo. Possiamo definire tutto ciò la mattanza degli operai dell’indotto. Rizzo, proseguendo nella sua corposa nota stampa, attribuisce, inoltre, questo epidoio come “reazione scomposta che risponde alla condanna che i gestori hanno subito dalla sezione Lavoro del Tribunale di Taranto a seguito della nostra denuncia per il loro comportamento anti sindacale”.

 

Il 22 marzo del 2019 la società ArcelorMittal che gestiva lo stabilimento ex Ilva di Taranto subiva una clamorosa condanna da parte del Giudice del Lavoro De Napoli del Tribunale di Taranto a seguito della denuncia del sindacato USB ai sensi dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori. A due anni da quella condanna sono decine gli operai reintegrati che inizialmente erano stati esclusi nelle graduatorie del gestore ArcelorMittal a seguito dell’accordo sindacale di settembre 2018 con 10700 lavoratori assunti dei 13500 ereditati dalla precedente gestione, quella dei commissari di governo. Mentre alcuni lavoratori si licenziarono grazie ad un incentivo dato dalla società in aggiunta al trattamento di fine rapporto i restanti operai furono messi in cassa integrazione sotto la gestione di Ilva in Amministrazione straordinaria. Per la scelta del personale da assumere ArcelorMittal stilò delle graduatorie che per il sindacato non avevano criteri congrui. Da lì partì la denuncia e la conseguente condanna del Tribunale di Taranto.

Le scelte dell’azienda nell’estate del 2019, quasi ad un anno dall’accordo sindacale siglato al Ministero dello Sviuppo economico, diventano ancora più drastiche e in violazione dello stesso accordo di settembre 2018. L’uscita di scena dell’amministratore Matthieu Jehl con l’entrata di Lucia Morselli ebbe un significato ben preciso. Dopo aver chiesto la proroga della cassa integrazione per circa 1300 operai a dicembre l’azienda amministrata dalla matematica olivettiana chiede ai sindacati di portare a 3500 il numero dei lavoratori in cassa integrazione. Tanto fu il conto salato presentato dall’azienda a seguito dello stop dell’altoforno 2 che doveva fermarsi per adeguarsi alle prescrizioni imposte da un sequestro senza facoltà d’uso dopo la morte dell’operaio Morricella investito da una ondata di ghisa liquida mentre operava sul campo di colatadell’afo2. Dopo le opposizioni sindacali alla ingiustificata richiesta di cassa ad aiutare l’azienda nei mesi successivi arriverà il covid19, infatti in data 27 marzo 2020 Arcelor Mittal comunicava alle organizzazioni sindacali l’apertura della cassa integrazione ordinaria con causale “COVID 19 Nazionale”. Pronta la risposta dei sindacati che denunciano l’uso improprio della cassa per causa pandemia. Settembre 2021: ancora proroga di cassa integrazione per un massimo di 3500 operai. Nell’incontro del 28 settembre tra Acciaierie d’Italia e sindacati l’azienda ha confermato i numeri degli operai in cassa anche per il 2022 ma con un aumento di produzione. C’è da considerare che ormai i sindacati non interloquiscono più con ArcelorMittal ma con Acciaierie d’Italia che è controllata da Invitalia, quindi dallo Stato, ma a dettare le regole del ricatto occupazionale sono sempre loro.

Introiti all’estero e debito dello Stato. In realtà gli annunci dei gestori della fabbrica nel 2019 dipendono da un altro fattore determinante. Il 4 novembre di quell’anno ArcelorMittal comunica ai Commissari straordinari di Ilva spa la volontà di recedere dal contratto di affitto dello stabilimento ex Ilva di Taranto. Per quale motivo?  Il Parlamento ha eliminato l’effetto dello scudo penale che proteggeva i gestori dello stabilimento, una protezione legale che, come già detto, fu introdotta dal Governo Renzi sia per i Commissari che per i gestori dello stabilimento. AM Investoco recede dal contratto di affitto e successivo acquisto dei rami di azienda stipulato a ottobre 2018 dopo l’accordo sindacale di settembre. A marzo 2020 i Commissari firmano un nuovo accordo con ArcelorMittal: si modifica il contratto di affitto: rata dimezzata ed annullamento dei contenziosi civili con i Commissari accettano di ritirare la loro ingiunzione, il privato può anche abbandonare la gestione della fabbrica a dicembre 2020 con una caparra di 500 milioni. A pochi mesi dal nuovo accordo ArcelorMittal non paga rate di affitto relative a due mesi e conta un debito di 40 milioni nei confronti delle ditte dell’indotto. In queste condizioni si arriva sino a dicembre 2020 quando nasce il nuovo assetto già illustrato: Acciaierie d’Italia e Invitalia.

Di fronte a questo squallido scenario dove il privato tiene sotto ricatto il Governo e migliaia di lavoratori non possiamo non mettere sui piatti della bilancia le cifre da capogiro che corrispondono ad introiti del privato mai transitati per i caveau delle banche italiane. Quanto ha guadagnato lo Stato italiano dal 2013, anno dell’inizio del commissariamento straordinario, ad oggi? Quanto in questi ultimi 3 anni di gestione ArcelorMittal, poi Acciaierie d’Italia? L’unica cosa certa è che non si può parlare di introiti ma di ingenti perdite di cui non si hanno dati certi che possano quantificare il debito accumulato in questi anni. Le uniche fonti sono le stime del sole24ore che arriva a calcolare la perdita delle casse dello Stato a non meno di 5 miliadi di euro nel 2018. Se consideriamo che le stesse fonti attestano la perdita mensile a circa 50 milioni di euro possiamo azzardare una stima della perdita attuale a cui vanno aggiunti i costi delle bonifiche dei terreni e della falda di un territorio SIN devastato da un inquinamento tanto storico quanto ancora attuale ed ancora attivo. Le condizioni degli impianti ad oggi sono considerate disastrose dalle organizzazioni sindacali che continuano a denunciare l’assenza di sicurezza e l’incombente rischio per la vita dei lavoratori. Inoltre le condizioni non a norma degli impianti, definiti “criminali” anche dall’Ad Morselli, generano emissioni nocive che incombono sull’intera popolazione.

A questi tragici conti, appunto, va aggiunto un costo sanitario ben preciso visto che oggi la scienza ha portato le gli studi epidemiologici a tracciare il nesso tra patologie e inquinanti. In ultimo va considerato il contesto sociale di una intera città che deve fare i conti con i numeri record di disoccupazione giovanile e con quelli che fotografano una profonda crisi nel mondo del piccole e medie imprese: l’indotto per decenni ha fatto affidamento sulla fabbrica che oggi, oltre la crisi, stenta a mantenere gli impegni nei confronti delle stesse ditte in appalto costrette a manifestare per ottenere i pagamenti per i lavori svolti.

Alla fine di questa storia abbiamo potuto appurare come lo Stato italiano concede al privato della multinazionale di generare notevoli introiti economici che arrivano solo nelle casse estere, di appropriarsi di fette di mercato mondiale sottratte all’imprenditoria nazionale, e per questo non si comprende l’ostentato orgoglio nazionale di quelli a Confindustria, generando debito miliardi di euro di debito pubblico e mettendo in ginocchio il mondo operaio tra incertezza sul futuro e la certezza di campare con stipendi da fame erogati dalla cassa integrazione. Ma qualcuno oggi ci dice che per questa eccellenza italiana nel mondo dell’acciaio bisogna essere orgogliosi. La vicenda Ilva è l’evidente fallimento della classe politica e delle istituzioni. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro precario e sul guadagno del privato all’estero.