di Luciano Manna – Gli angoli più belli della città sono in mano a chi gestisce illeciti, traffici e veri e propri abusivismi edilizi sul mare. Non sembra accorgersene il sindaco Rinaldo Melucci che amministra questa città da tre anni anche dopo aver lanciato un progetto denonimato “Ecosistema Taranto”, ma di quale ecosistema parliamo? E non sembra accorgersene neanche il commissario straordinario alle bonifiche, Vera Corbelli, che sostiene di operare bonifiche nel Mar Piccolo da ben sei anni. Taranto aspetta il suo riscatto, vuole vivere il suo futuro con ciò che ha già vissuto nei secoli passati e per cui è diventata celebre nei libri di storia e letteratura: il suo mare, i suoi frutti, la sua biodiversità, l’ecosistema che oggi lotta e sembra resistere contro gli idrocarburi, le diossine, i pcb, le gestioni illecite e criminali e contro l’assenza dell’amministrazione e della politica. Tre luoghi chiave per Taranto sono preda di illecici e degrado. Tre luoghi chiave nel nostro sacro Mar Piccolo: la darsena dell’ex Centro Ittico Tarantino poi fusa per incorporazione in Infrataras, la foce del fiume Galeso, il Pizzone.

L’azienza, ex Centro Ittico Tarantino annessa ad Infrataras

E’ una grande darsena con pontili e un largo piazzale proprio dove sorgono gli uffici di Infrataras, praticamente attigui all’ex ristorante Gambero che, se il sindaco Rinaldo Melucci non continuerà a fare inutili ostruzioni (alle quali, fortunatamente, sono  seguite tirate di orecchi da parte del Ministero), sarà gestito dalla Capitaneria di Porto. Lo speriamo, visto il degrado e gli illeciti a tutt’oggi attivi in quella che negli ambienti si chiama “L’azienda”. Già, gli illeciti. Infatti proprio in questa preziosa area demaniale, quindi di competenza del comune di Taranto, “premiate famiglie”, oltre alla pratica della pesca di frodo nel Mar Piccolo anche con eplosivi, gestiscono abusivamente un rimessaggio per imbarcazioni. Il pizzo? Si parte da 25 euro alla settimana per le barche più piccole ma il tariffario è vario e i servizi sono tanti vista la logistica e il dispiego di mezzi: operazioni di bunkeraggio e manutenzione, tutto rigorosamente non autorizzato. Ma non solo. In questo luogo chiuso e recintato, quindi al riparo da occhi e telecamere, si gestiscono centri abusivi di trasformazione di mitili dove si sfruttano anche extracomunitari, quelli che di solito vediamo che arrivano dall’appia con le biciclette. Il piazzale, poi, è anche adibito a cimitero per vecchie celle frigo di tir, mezzi meccanici, barche abbandonate, pedane e vecchi fusti riempiti di cemento che saranno usati per attracchi abusivi in mare.

Ma cosa era in passato il Centro ittico, poi annesso ad Infrataras, società partecipata del comune di Taranto? Già nel 1945 si chiamava Centro Ittico Tarantino Campano e nel 1962 fu costituita società per azioni a cui furono conferiti in capitale i beni del Mar Piccolo di Taranto e dei laghi di Fusaro e di Miseno, in provincia di Napoli. Per diverse controversie relative alle proprietà campane la società fu sciolta per atto del Governo nel 1997 ma attuato solo nel 2000, dividendo i beni col 66% a Bacoli e con il restante 34% a Taranto, cioè i beni demaniali nel Mar Piccolo.

Nel 2000, 20 anni fa, l’assessore Fago dichiarava: “l’amministrazione comunale sta per prendere il controllo dell’intero Mar Piccolo: si tratta di una circostanza di rilevanza strategica, che apre molte e interessanti possibilità. Il nostro obiettivo è quello di fare in modo che il mare e le sue attività produttive divenga effettivamente una risorsa per la città“. A sentire queste parole sembrerebbero le stesse parole pronunciate oggi per propagandare il progetto “Ecosistema Taranto”. Sono state pronunciate 20 anni fa per far rinascere la mitilicoltura proprio con i servizi di questa darsena. Oggi il risultato è questo. Ma poi, chi occupa locali ed appartamenti degli stabili di Via delle Fornaci, oltre naturalmente, agli uffici di Infrataras? Chi gestisce gli illeciti nelle aree demaniali prospicenti? Il comune di Taranto, o la società partecipata Infrataras gestiscono alcune di queste attività? Ma al sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, infine chiediamo? Ma non sarà che queste note famiglie alla gestione degli illeciti nelle aree demaniali oggi o domani potranno anche avvalersi dell’usucapione visto che per molti anni queste attività e chi le conduce sono rimaste industurbate?

 

La foce del Galeso

ll luogo sacro che nella poesia e nella storia è narrato e citato da Virgilio, Orazio, Properzio, Tito Livio, Polibio, Ludovico Ariosto, Tommaso Niccolò D’Aquino, Giovanni Pascoli oggi è un luogo occupato da baracche abusive dove si controllano, sempre in maniera illecita, il rimessaggio di diversi natanti.

Tratto dal Libro IV delle Georgiche. Virgilio.  …sotto le torri, ricordo, della rocca Ebalia, ove ombroso irriga biondeggianti campi coltivati il Galeso, conobbi il vecchio Coricio, che aveva pochi iugeri di un terreno abbandonato da altri, non fertilizzabile con buoi, non adatto a bestiame per l’erba né comodo a Bacco. Eppure costui, radi fra gli sterpi i legumi e intorno candidi gigli e verbene piantando, e l’esile papavero, pareggiava le ricchezze dei re in cuor suo e rincasando a tarda notte ingombrava la sua mensa di cibi non comprati. Era il primo a cogliere la rosa in primavera, ma anche i frutti in autunno; e quando un fiero inverno ancora col gelo i sassi spezzava, e il ghiaccio arrestava i corsi dell’acqua, egli la chioma del delicato giacinto già recideva, rimproverando la lenta estate e gli zefiri indugianti. Dunque era il primo anche ad abbondare di api feconde e numeroso sciame ed era il primo a raccogliere miele dai favi spremuti; aveva tigli e rigogliosi pini, e il fertile albero di quanti frutti si era rivestito nella nuova fioritura, altrettanti ne possedeva maturi in autunno. Quello anche dispose in filari vecchi olmi, peri ben duri, innestati spini carichi di prugne e il platano che ormai provvedeva all’ombra dei bevitori. Ma io stesso, impedito dal poco spazio qui a disposizione, passerò oltre e lascio che altri facciano menzione di queste cose, dopo di me.

Anche qui il sistema è lo stesso: si paga il pizzo in una zona demaniale, in un luogo che dovrebbe essere restituito alla cittadinanza e al turismo culturale. Chi gestisce il rimessaggio di queste barche che qui trovano approdo solo previo pagamento del pizzo?

Quinto Orazio Flacco. “E se il destino avverso mi terrà lontano, allora cercherò le dolci acque del Galeso caro alle pecore avvolte nelle pelli, e gli ubertosi campi che un dì furono di Falanto lo Spartano. Quell’angolo di mondo più d’ogni altro m’allieta, là dove i mieli a gara con quelli del monte Imetto fanno e le olive quelle della virente Venafro eguagliano; dove Giove primavere regala, lunghe, e tiepidi inverni, e dove Aulone, caro pure a Bacco che tutto feconda, il liquor d’uva dei vitigni di Falerno non invidia affatto. Quel luogo e le liete colline Te chiedono accanto a Me; dove tu lacrime spargerai, come l’affetto tuo esige nei confronti miei, sulla cenere ancòra calda dell’amico tuo poeta”.

 

Il Pizzone

Questa barraccopoli cresce di anno in anno. Vere e proprie costruzioni sul mare fatte con muri di tufo, con pavimenti in mattone, cancelli e recinti che vietano l’accesso alle aree demaniali, addirittura, anche quando queste aree arrivano ai limiti con quelle militari. Come può accadere tutto ciò visto che lì accanto escono in mare le canoe del WWF? Nessuno si accorge di nulla o la protezione dell’ecosistema è oramai un optional marginale e trascurabile ma essenziale per recepire fondi pubblici? Come è possibile concepire questo scempio ambientale se il commissario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, Vera Corbelli e il suo corposo staff, operano nel Mar Piccolo dal 2014? Questa è la tragica situazione in questi luoghi, oggi. Non ci resta che raccontarla.